Il predicato nobiliare che consiste nel “di” minuscolo associato alla città (e mai maiuscolo altrimenti non è un predicato) indica per effetto giuridico della “cognomizzazione” dove illo tempore è sorto il titolo nobiliare e nulla c’entra con la città di nascita del soggetto che lo possiede. Ad esempio il Marchese Luca Cordero di Montezemolo non è certamente nato nella città di Montezemolo, piccola cittadina vicino Cuneo, in Piemonte, essendo egli infatti nativo della città di Bologna, purtuttavia il “di Montezemolo” indica, appunto, il luogo geografico dove è sorto il titolo araldico del Marchese Luca Cordero di Montezemolo. Nelle vetuste anagrafi del 1600, 1700, 1800 dove molto spesso gli impiegati anagrafici non sapevano né leggere, né scrivere, accadeva che non sempre i predicati nobiliari venissero trascritti presso l’ufficio anagrafico del luogo, con il risultato che molti di questi predicati nobiliari andarono perduti. In Italia vi sono infatti note famiglie nobili come i Pacelli, gli Odescalchi, i Ruspoli, i Pallavicini che pur essendo illustri famiglie aristocratiche non possiedono il predicato nobiliare, perché non trascritto nelle anagrafi e dunque perduto nei secoli passati. Certamente possiamo affermare che chi oggi giorno è dotato di un predicato, detiene un’attestazione in più di appartenenza nobiliare rispetto a chi non lo ha, è una certificazione tombale, riconosciuta dallo Stato italiano sui documenti anagrafici e di identità, circa il possesso del titolo araldico, in quanto quest’ultimo è parte integrante del proprio cognome. Il predicato nobiliare “di Altamura” del Conte Claudio Mercadante ci indica geograficamente dove è sorto, nei secoli passati, il suo titolo nobiliare e nulla rileva circa la sua città di origine che è Roma.